- Aspettiamo insieme la Santa Pasqua - Blog in divenire -

-Ricordi-



Intrecciavamo foglie di ulivo, per prepararci alla Domenica delle Palme.  La pianta non mancava mai  vicino alle nostre case, in contrada San Pasquale dove ho passato l'infanzia  a contatto stretto, quasi in simbiosi con la natura.  Intrecciavamo anche le palme, ma di queste c'era scarsità e noi bambini imparavamo l'arte utilizzando foglie di canna, tagliate a strisce.  Sapevo fare i cavallucci, l'intreccio più semplice, ma mi divertivo anche con creazioni più azzardate. C'era qualche canneto ed i quei giorni ne facevamo strage...

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Grazie  Chicchina Acquadifuoco del nostro meraviglioso sud  che sa conservare le tradizioni











Benedire, è chiedere a Dio protezione e grazia, e quale luogo ha maggiormente bisogno di essere raccomandato a Dio delle nostre case,  affinchè vi regni un amor perfetto? Questa bella usanza  in molte città  si va perdendo  perchè, purtroppo,   le case sono ormai troppe  per i pochi sacerdoti d'oggi.
I giovani forse non sanno quanto fosse atteso da tutti il momento della benedizione pasquale nelle case. Lo era da chi aveva fede e da chi non l'aveva.... e questi ultimi non  per via di quel "non si sa mai" che mette al riparo, o per superstizione,  ma per la  gioia della visita di un personaggio importante, perchè così era  considerato il sacerdote nelle epoche passate... e questo  incontro  rallegrava tutta la famiglia.
Nella mia casa di fanciulla, i giorni che precedevano la benedizione pasquale erano caratterizzati da un grande fermento. La mamma, in quella occasione, non lasciava neppure il più piccolo spazio della casa senza una bella ripassata ed a Pasqua tutto splendeva e profumava di sapone e cere.
In quei giorni di frenetico lavoro, ognuno aveva i suoi compiti. Il babbo smontava   le tende e puliva le parti alte degli armadi, la mamma dirigeva, lavava, stirava, riparava... e a noi figli toccava sempre l'odiato incarico: spolverare.
Anche i cassetti venivano svuotati, ripuliti, riordinati e quest'ultima incombenza  l'avrei voluta per me perchè i cassetti  m'incuriosivano per via di quei  misteri  che gli adulti  celano ai piccoli e  per quegli oggetti dimenticati, o che si pensavano  persi, che  riapparivano  come conigli dal cilindro del prestigiatore.
Naturalmente la mamma non era d'accordo nel lasciarmi frugare fra scartoffie,  documenti e santini ed  io le stavo alle spalle intralciandole   il lavoro.
Fra ricevute e documenti, vedevo spuntare   cartoline  in bianco e nero,  biglietti ripiegati e immaginette sbiadite di santi su pizzi di carta.  E  poi c'erano  le memorie dei defunti con la foto al centro e le due date vicine, dove l'assunto in cielo era quasi sempre irriconoscibile per via della scelta di ritrarlo, a futura  memoria, giovane.   Mi sono sempre chiesta come  si potesse  associare il ricordo dello scomparso a  quello sconosciuto...
In una  scatola  di latta, orfana  dei biscotti che aveva contenuto, la mamma conservava foto piccine e scure,  divise in piccoli pacchetti di carta velina. Da lì,  persone anziane  col viso di  porcellana   guardavano con occhi  severi gli incauti profanatori di scatole.  Chi  erano mai?   Parenti, amici di gioventù, diceva la mamma che non poteva sostare troppo fra i ricordi e, ordinata e veloce,  separava, aggiungeva, toglieva secondo un  nuovo ordine che si traduceva  in  mucchietti ben allineati sul letto matrimoniale.
Fra le altre, ricordo la  foto di una persona in abiti femminili  con un paio  di baffi scuri sul labbro superiore. Una  cara zia materna  le somigliava parecchio  ed aveva anche  lo stesso nome, ma non era sicuramente  lei  perchè   i baffi  mica li aveva.    Poi il dubbio  mi face  immaginare  la vecchia zia radersi  ogni mattina come faceva il babbo... Ah, dovevo smetterla di trastullarmi con quel pensiero per non offendere, neppure in segreto, la cara zia ma da quel giorno, ogni volta che venne a farci visita,  tenni  d'occhio il suo labbro superiore dove non colsi mai prova alcuna a suffragare il mio sospetto.
Beh, non fosse stato per tutto quel lavorìo, per la fatica e quell'aria di disastro che pareva incombere su quelle parti della casa che non fossero state pulite a fondo, la visita del parroco avrebbe rappresentato solamente  l'eccezione fra i lenti  giorni tutti uguali.  Ma   eccezionale era sicuramente la mamma che, sfinita da tanto lavoro,  apriva la porta di una casa immacolata al parroco, sorridente e tranquilla come si fosse appena alzata dalla poltrona.
(Sari)



                                   



I miei ricordi del giorno di Pasqua non sono particolari. Messa solenne lunga lunga con inaugurazione dei vestiti primaverili  anche se pioveva o faceva freddo perchè, diceva mia nonna, era il giorno in cui bisognava sgusciare fuori dai cappotti. Poi gran pranzo tutti insieme a casa di mia nonna come in tutte le feste importanti.
I miei ricordi più belli sono però per i giorni precedenti la Pasqua quando c' erano le visite ai Santi Sepolcri.
Ogni chiesa allestiva una cappella a simulacro del Santo Sepolcro con tappeti, candele, lumini e vasi di fiori.
Le chiese più belle e ricche avevano tanti fiori, che all' epoca non erano così comuni , le chiese povere di periferia avevano pochi vasi fioriti e tanti vasi di edera e di grano bianco. Il grano bianco era grano comune, coltivato al buio, che assumeva un colore diafano, quasi bianco.
La visita ai Sepolcri era come un piccolo pellegrinaggio perchè bisognava visitarne almeno tre o molti di più, ma sempre in numero dispari.
Quando si scioglievano le campane era uso lavarsi gli occhi con acqua corrente, anche in strada si vedevano le persone avvicinarsi alle fontanelle.
(Mama da Torino)




                                         




La mattina di Pasqua si faceva colazione con la crescia brusca, la crescia dolce, l'uovo benedetto sodo, qualche fetta di salame e il tutto bagnato con un po' di vermouth di cui anche noi bambini potevamo averne  qualche goccia, quel tanto che bastava a farci aspettare la Pasqua per il resto dell'anno.
Alle nove andavo alla messa a san Domenico con nonno nei banchi di legno dietro l'altare, tra gli uomini.  
(Massimo da Urbino)





                                         



A Firenze per Pasqua c’è lo  scoppio del carro  non mi dilungo, ma troverai tutte le curiosità nel link.     In casa nostra la Pasqua è sempre stata festeggiata in casa e mai fuori, con le uova benedette e scambiandoci qualche ciocca di ulivo benedetto.
Il cibo era a base di agnello in forno con patate e cotolette di agnello fritte.
Della serie che per sei mesi  l’agnello era bandito da tavola altrimenti belavamo!
Non ricordo niente di particolare se non qualche uova di cioccolato.
(Arcangela da Firenze)





                                         


In casa mia solo le nonne erano pie e seguivano gli eventi sacri, ricordo la visita delle 7 chiese come un pellegrinaggio stancante e noioso, ma ero piccola.  Poi c'era l'ulivo benedetto e le uova sode, poi io mi sono dimenticata di tutto e oggi non seguo più.
(Sticla da Firenze)


                                                 






La mattina di Pasqua, a colazione, nella mia casa di ragazza, si mangiava l'uovo sodo benedetto seguito dalla ciambella bolognese  che la mamma aveva cotto il giorno  prima nella bottega del fornaio.   Ricordo le vigilie di Pasqua e le donne con le teglie in mano, coperte da un canovaccio, che portavano i  piatti festivi a cuocere, ognuna con le raccomandazioni per una particolare cottura.
A pranzo si mangiavano lasagne verdi bolognesi, gli  arrosti e le novelle verdure della stagione buona. In quel giorno si "spianava" il nuovo tailleur estivo e si andava a Messa tutti insieme. Tutti tranne il babbo che non vedeva di buon occhio la chiesa ma taceva per non dar troppo  dispiacere alla mamma.
(Sari da Bologna)



                           
            




Il ricordo della Pasqua di quand'ero piccola ha due facce: una tristissima e l'altra che era uno scoppio di felicità e commozione anche perchè era finita una tristezza che mi faceva soffrire parecchio ( il calvario di Nostro Signore è una delle storie più truci che abbia mai sentito...), comunque da noi, durante la settimana santa prima della Resurrezione, non si poteva cantare, c'erano  i Sepolcri da visitare, chiese buie e donne scure in preghiera e al centro lumini e piatti di grano tenero fasciato da nastri colorati.
Poi ricordo l'esplosione di gioia allo scampanio festoso quando si annunciava la Resurrezione, per me era come liberarmi da una cappa nera pesante, tanto la drammatizzazione della morte di Gesù Cristo era così sentita dalla bambina che ero.
Poi c'era il pranzo di Pasqua che era modesto ma buonissimo: orecchiette, agnello al forno con patate, carciofi fritti tenerissimi e scarcelle con le uova.
(Tinal, barese  or milanese)





                                       


Nel Veneto per tre giorni le campane non suonavano e per indicare l'inizio della Messa, a mezzogiorno e per l'Ave Maria, si  suonava la "racoeta". Uno strumento di legno sonoro che facendolo girare imitava la raganella. Specialmente a mezzogiorno davanti la chiesa c'era un parapiglia tra ragazzini per suonarla, con grande fatica del sacrestano che diceva loro: "Perchè la mattina alle 5.00 non c'è mai nessuno?"   Allora l'Ave Maria mattutina si suonava così presto, non come adesso che qui a Roma non si può suonare prima delle 8.00. Il suono delle campane disturba mentre a me mette tanta allegria, a qualunque ora.
Un'altra cosa che ricordo è che alle ore 10.00, quando scioglievano le campane,  tutte le mamme con bambini da 9 mesi in su facevano loro attraversare la strada con i piedini per terra e tenendoli sotto le ascelle. Così avrebbero cominciato a camminare presto.
A Pasqua si mangiava e si mangia tuttora l'agnello.
Qui a Roma si mangia l'abbacchio e la coratella d'abbacchio con i carciofi.
Anche da noi si facevano i "Sepolcri". Ora hanno cambiato loro il nome e lo chiamano "Altare della Deposizione". Qui a Roma si visitano ancora in numero  dispari. Confondono la Fede con la tradizione (io la chiamerei superstizione)
Mia mamma, il giorno delle Palme, mi faceva indossare un vestito (di  solito era   un tailleur oppure vestito e soprabito) primaverile nuovo.
(Solare, una veneziana a Roma)


1 commento:

  1. Ho letto i tanti ricordi postati e in tutti c'è il richiamo alle tradizioni,io dico per fortuna,segno che qualcosa di antico,di passato lo abbiamo ereditato e parlandone lo trasmettiamo anche.Molti usi erano comuni,anche in regioni diverse e lntante geograficamente.Grazie Sari,per questa raccolta di memorie.A te ed agli amici che hyanno contribuito con le loro condivisioni,gli auguri di una Pasqua serena e di giorni di armonia.

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Ti ringrazio per il commento che sarà sicuramente rispettoso